14 dicembre 2019 - 15 marzo > riapertura con proroga dal 30 maggio al 7 giugno 2020
CENTRO ARTI VISIVE PESCHERIA - PESARO
Il programma della Fondazione Pescheria – Centro Arti Visive prosegue con un nuovo progetto dedicato alla pittura con la mostra “Benvenuto (anima del pittore da giovane)”, di Gianni Politi (Roma 1986), a cura di Marcello Smarrelli, con un testo di Davide Ferri.
Organizzata in collaborazione con il Comune di Pesaro – Assessorato alla Bellezza e la Regione Marche, l’esposizione inaugura sabato sabato 14 dicembre e dopo la chiusura per l’emergenza sanitaria dai primi di marzo, riapre dal 30 maggio al 7 giugno 2020.
Dopo le personali di Thomas Braida e Matteo Fato, con Gianni Politi si completa una trilogia pensata per indagare e presentare altrettanti modi di intendere la pittura oggi.
Un pittore è un mondo fatto di immagini, ricorrenze e piccole manie che lo accompagnano durante la vita e che molto spesso sono chiavi per comprenderne le intenzioni e le motivazioni. Gianni Politi ha creato per gli spazi della Centro Arti Visive Pescheria un triplice intervento la cui funzione è quella di rivelare alcuni rapporti interni al suo lavoro. Un processo di “riutilizzo di materiali” in cui, accanto a una pianificazione calcolata, entrano in gioco una serie di eventi casuali.
Tre le tipologie di opere che presentano la ricerca di Politi come una mise en scene del suo percorso.
La prima è il ritratto del padre, una serie che l’artista sviluppa in maniera ossessiva dal 2012, un mantra pittorico, un remake perenne di un quadro antico lo Studio per un uomo con la barba (1770) di Gaetano Gandolfi, scoperto tra le pagine di un libro di storia dell’arte; il ritratto di uomo calvo dallo sguardo pacificato che nasconde una mano nella barba, in cui vede e ricerca continuamente il volto del genitore mentre riproduce l’opera, variandola di volta in volta. Ogni ritratto nasce da una dissolvenza tra una visione interiore e il dipinto settecentesco; una rincorsa inesauribile verso un’immagine sfuggente che sottende altresì la riflessione sull’impossibilità di approdare a una forma stabile, a un quadro ultimo, definitivo.
Ambientate lungo la parete del Loggiato, dodici tele, attraverso forme che richiamano sempre lo Studio del Gandolfi, testimoniano non solo il tentativo di dipingere un ritratto come eterno ritorno ad un fare pragmatico, ma anche una riflessione su come questo genere pittorico possa avere ancora valore e significato oggi: “Un esercizio che porto avanti da sette anni che è servito (e ancora per me ha la stessa funzione) come bussola e baricentro del mio lavoro, anche quando si trasforma in immagine astratta.”
Accompagna la sequenza un bassorilievo in bronzo di oltre due metri, Questa è la mia mente (2018-2019), in cui compaiono una moltitudine di scorpioni. Il titolo, una chiara metafora dei pensieri che affollano la mente dell’artista, è mutuato dalle parole che Macbeth rivolge a Banquo poco prima del compimento del suo tragico destino: “la mia mente è piena di scorpioni”.
La terza serie di lavori, installata nella chiesa del Suffragio, affronta il tema cruciale della ricerca di Politi: la pittura astratta. Alle pareti cinque tele monumentali, prodotte appositamente per la mostra, sono realizzate con collage di tele, provenienti da frammenti di altri lavori, e spray acrilici; esperimenti su ciò che nella pittura si può controllare e ciò che necessariamente deve essere affidato al caso. Al centro dello spazio si staglia un masso monolitico, Il Nome che Porto è di uno Zio, Come lo Zaino del Contrabbandiere (Dolmen for a Perennial Existence) (2019), che sembra provenire da un mondo primitivo ed ancestrale e presenta su uno dei lati, un dipinto realizzato con spray acrilici, una sorta di statement sulla pittura aniconica.
Negli anni la ricerca di Politi si è concentrata sempre più sulla discussione secolare tra figurazione e astrazione. Utilizzando scarti generati da esperienze pittoriche “private”, piccoli grandi tentativi di comprendere il modo in cui si usano i materiali della pittura, ha sviluppato una pratica che tenta di costruire opere astratte spontanee, meta manifestazioni di quadri che vengono generati da intuito e pensiero più che dalla capacità di gestire le proprie abilità. Opere astratte che continuano idealmente a gravitare attorno a quell’unico tentativo di figurazione rappresentato dallo Studio del Gandolfi.
Il percorso espositivo creato da Politi guida lo spettatore ad entrare in rapporto con la sua intimità inquieta, un invito a spiare dentro la sua anima che produce immagini, ma che ambisce anche a distruggerle, perché la sua ricerca mira a risolvere principalmente un solo grande quesito: ha ancora senso dipingere oggi?
GIANNI POLITI (Roma 1986)
Studia filosofia presso l’Università “La Sapienza” di Roma.
Attraverso l’uso di materiali classici della tradizione pittorica italiana ha sviluppato una pratica basata su processi privati che avvengono nello studio nel tentativo di generare immagini spontanee.
Lo studio diventa quindi soggetto e oggetto di una produzione pittorica variegata e che sfocia anche nell’uso di sculture per narrate il quotidiano sforzo di dipingere oggi. Nel tentativo di ridefinire la pittura astratta oggi, l’artista carica il lavoro di esperienze e ricorrenze personali riflettendo su temi primari come amore, amicizia e sessualità in un tentativo costante di mitizzare i materiali utilizzati.
L’artista ha mostrato il suo lavoro in varie istituzioni nazionali ed internazionali tra cui La Galleria Nazionale d’ Arte Moderna di Roma, Nomas Foundation, Maxxi, Macro e l’Italian Cutural Council di Praga. Il suo lavoro è rappresentato dalla Galleria Lorcan O’ Neill di Roma.
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In concomitanza anche l’ultima delle tre mostre: “Jannis, Luigi, Eliseo”, a cura di Marcello Smarrelli, dedicato alle fotografie di Michele Alberto Sereni che ha raccontato la storia espositiva di questo spazio unico. Presso il bar Where, gli scatti che documentano l’esposizione di Eliseo Mattiacci “Dinamica verticale”, curata da Ludovico Pratesi nel 2013, visitabile fino a 15 marzo.